Come la pizza napoletana, anche il caffè napoletano è molto più di una “semplice” tradizione culinaria, è infatti parte integrante della cultura e filosofia partenopea, e della quotidianità degli abitanti della città.
Secondo la tradizione popolare il caffè, che inizialmente aveva una fama negativa a Napoli in quanto si pensava portasse sfortuna dato il suo colore nero, fu innalzato a bevanda di prestigio intorno al 1770 grazie a Maria Carolina D’Asburgo. Con l’arrivo della regina che sposò Ferdinando IV di Borbone, il caffè napoletano divenne il rituale che oggi è famoso in tutto il mondo, e a lei si dovrebbe anche l’accoppiata con il cornetto, che sopravvive ancora oggi, soprattutto nella scelta del gusto crema e amarena.
Negli anni, anzi nei secoli, le supposizioni e credenze sul perché il caffè napoletano sia così buono si sono alternate, ma generalmente sono 3 i filoni di pensiero: c’è chi sostiene che sia l’acqua (soprattutto in passato quando veniva dalla fonte del Serino), chi dice che sia la macinatura del caffè per cui la tostatura avverrebbe in un momento preciso, dopo qualche giorno di riposo dei chicchi, favorendo un’estrazione più intensa degli aromi, e chi sostiene addirittura che sia l’aria napoletana a rendere così buono il caffè.
Si racconta anche un’altra antica storia, pare presa in prestito dai monaci Zen, che dice “se il saggio, sempre che sia un saggio napoletano, indica la tazzina di caffè che ha preparato, lo sciocco guarda il caffè”. E perché “sciocco”? Perché non dovrebbe guardare il caffè ma il dito, per vedere dove porta, e il dito porta al napoletano, e questo è il segreto: il napoletano lo prepara come fosse un rito, lo gusta con passione e con una filosofia ben delineata alla base, anche solo per il sorseggio.
In altri termini, a Napoli e per il napoletano il caffè è un rito antropologico, un rito sociale, la scusa per una chiacchierata, per una confidenza o una battuta. Il caffè non è una semplice bevanda.
Qui alcuni consigli per la preparazione di un perfetto caffè napoletano:


La caffettiera napoletana
La tradizione chiamerebbe la “cuccumella”, la classica caffettiera napoletana. A differenza della moka, non fa uso della pressione generata dal vapore per spingere l’acqua attraverso il caffè, bensì esclusivamente della forza di gravità. Anche la moka ideata da Alfonso Bialetti nel 1933 è perfetta per la preparazione del caffè.
La miscela
In questo caso si segue il gusto personale, l’importante che la miscela sia di qualità, e che venga conservata in un recipiente ermeticamente chiuso.
L’acqua
È importante non usare acqua calda per accelerare la preparazione (non bisogna mettere fretta al caffè). La caffettiera va riempita fino alla valvola, senza superarla.
La quantità di polvere di caffè
Il filtro della caffettiera va riempito oltre il limite, ma non bisogna pressare la polvere, per seguire i canoni del caffè napoletano bisogna creare la classica “muntagnella”.
Fuoco lento
Per non “traumatizzare” l’operazione di estrazione della bevanda dalla polvere di caffè e quindi avere una “ciofeca” di caffè, l’acqua va portata ad ebollizione a fuoco lento.
La cremina
Per ottenere la tipica cremina napoletana, bisogna recuperare le prime gocce e mescolarle allo zucchero.
La tazzina
Per non disperdere la cremosità e la corposità del caffè, si consiglia di mantenere la tazzina a bagnomaria nell’acqua bollente.
Oggigiorno, anche il caffè napoletano si è aperto all’innovazione, alla diversificazione di gusti ed abitudini, pur rimanendo parte irrinunciabile della vita dei napoletani. Ciò nonostante, gli amanti della tradizione bevono ancora il caffè napoletano secondo le “regole” ovvero: sorseggiano la nera bevanda velocemente, in piedi, da una tazzina bollente, fin quasi a ustionarsi l’ugola.